Intervista su Claudio Abbado

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Intervista tratta da: Claudio Abbado, l'impegno sociale e l'attività culturale, Tesi di laurea di Maria Vittoria Arpaia, Università di Roma "La Sapienza", Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Forme e Tecniche dello Spettacolo, a.a. 2013-2014, relatore prof. Antonio Rostagno

Ho conosciuto Valerio Vicari, direttore artistico di Roma Tre Orchestra, tramite la gentile segnalazione di Attilia Giuliani, Presidente del CAI (Club Abbadiani Itineranti), di cui lui ha fatto parte. La piacevole conversazione con Valerio è diventata poi un'intervista che ho inserito all'interno della mia ricerca diventata poi la tesi di laurea: "Claudio Abbado l'impegno sociale e l'attività culturale". La discussione ha evidenziato il carattere carismatico del Maestro che si esprimeva nella capacità di ascoltare attivamente e di unire in un unico gesto l'orchestra con movimenti minimali, senza enfasi né retorica: la semplicità come elemento di coesione. (Maria Vittoria Arpaia)

D – Quando hai assistito al primo concerto di Claudio Abbado?

R – Era il 1997, [Abbado] era venuto come ospite con i Berliner Philharmoniker a Roma, all’Auditorium di via della Conciliazione, all’epoca avevo 17 anni. Fecero la Settima Sinfonia di Beethoven e la Terza di Brahms: quell’ascolto si rivelò un’emozione grandissima. Era la prima volta che sentivo dal vivo i Berliner, la cui  perfezione musicale credo colpisca profondamente ogni persona che abbia la fortuna di ascoltarli. Poi, certamente (avevo diciassette anni, ed ero ancora per molti aspetti alle “prime armi), mi impressionò moltissimo Abbado stesso e il suo grande carisma musicale. Rimasi affascinato e incantato da questo concerto, ero certo di non aver mai sentito niente di simile. Per bis fece due danze ungheresi frizzanti, bellissime, indimenticabili: tutto fu assolutamente coinvolgente. Alla fine del concerto andai nel camerino a salutarlo, per chiedergli l’autografo: scrisse semplicemente “Claudio”, senza aggiungere il cognome.

D – Molti sottolineano l’importanza dello sguardo nella tecnica direttoriale di Abbado. Da come dirigeva, tu coglievi, ad esempio, questo suo modo particolare di rivolgersi all’ Orchestra? 

R – Non è facile dal vivo accorgersene, perché in concerto il più delle volte il direttore lo si vede solamente di spalle. Però quello che certamente si riusciva a cogliere, in ogni sua esecuzione, era la straordinaria ricchezza di colori musicali che riusciva a tirare fuori dall’orchestra,  con risultati davvero unici. Da un’orchestra di 100/120 elementi riuscivano ad emergere dei pianissimo sussurrati, dei fortissimo capaci di stordire, e all’interno di questi volumi sonori, una gamma infinita di colori, di emozioni uniche, indicibili. Questo era quello che percepivi. Il gesto era bello, molto chiaro, essenziale.

Del resto, non è un caso che Abbado, già a 35 anni, fosse famosissimo. Tuttavia io ricordo con maggior commozione l’Abbado degli ultimi dieci anni, l’Abbado di Lucerna, con il suo gesto ancor più essenziale, che non dava il tempo, non segnava il ritmo. Basta vedere i video di Abbado anni ’60/70 per capire quanto il gesto sia cambiato nel tempo: da giovane era ovviamente molto più energico, scandiva ad esempio il tempo in maniera molto netta.

Se il gesto è cambiato negli anni, anche molto, il carisma e l’energia interiore fino all’ultimo sono rimasti inalterati. Questo forse è l’aspetto più straordinario di Abbado come direttore.

D – Negli ultimi anni ci puoi confermare che Abbado ha mantenuto almeno un concerto a Berlino nel mese di maggio,  oltre a quelli con l’Orchestra del Festival di Lucerna d’estate?

R – Certamente, ma anche di più: Abbado fino ad agosto scorso ha fatto concerti regolarmente in giro per l’Italia. Ricordo con commozione i suoi ultimi ultimi, the very last Abbado, i due programmi di Lucerna dell’estate 2013, con la nona di Bruckner, diretta proprio nell’ultimissima produzione, ma soprattutto il penultimo, in cui diresse una Terza di Beethoven veramente incredibile. Azzarderei a dire, forse, la più grande esecuzione musicale che abbia mai sentito in assoluto. In quell’Eroica c’era tensione musicale, complessità, varietà di tempi (gestiti sempre con sapienza, gusto e senso dell’opportunità), sfumature e colori infiniti. C’era insomma tutto quello che si può desiderare di ascoltare in concerto, un’esecuzione veramente perfetta, un’emozione unica e assoluta.

D – Si dice che Abbado lasciava molto liberi i musicisti, aveva questo concetto del fare musica insieme…

R – Si, il famoso Musik zusammen , come amava definirlo lui. È stato uno dei primi da questo punto di vista, a cogliere l’aspetto cameristico nella musica sinfonica. Fin da quando era direttore musicale della Scala, anni ‘60/70, incoraggiava i musicisti dell’orchestra a suonare musica da camera, a fare anzi molta musica da camera, perché questo tipo di repertorio si realizza attraverso il reciproco ascolto, un atteggiamento appunto di cui c’è bisogno anche in orchestra. È chiaro che nella musica da camera, quando si è in 3 o in 4 ad esempio, il musicista è “costretto” ad ascoltare gli altri, altrimenti gli attacchi non verranno mai insieme, i rallentando nemmeno, i piano non saranno mai piano allo stesso modo: la musica da camera è il luogo musicale di elezione dell’ascolto reciproco. Abbado sosteneva, e oggi sono in molti a pensarla come lui, che nell’orchestra sinfonica serva la stessa dose di propensione all’ascolto reciproco. Non servono musicisti che suonino a testa bassa, guardando ognuno la parte davanti a sé e basta, volgendo magari ogni tanto, ma solo ogni tanto, uno sguardo distratto al direttore. No, Abbado insisteva molto affinché ogni musicista innanzitutto ascoltasse l’altro, il vicino di fila: questo per lui era l’essenziale. Perché tante volte in orchestra capita che sia proprio l’altro ad indicarti come deve essere suonata la tua parte, ad suggerirti la giusta dinamica. Il primo oboe sente come viene portata la frase dal primo clarinetto…e si inserisci nel suo gusto musicale! Questo ci porta ad una riflessione più generale: la grande esecuzione, qual è? È quella in cui tutti gli elementi sono giustamente dosati e suonano in maniera perfettamente coerente l’uno con l’altro seguendo la stessa idea musicale; ma questo, come dicevamo, deriva innanzitutto dall’ascolto reciproco, proprio da quel Musik zusammen  di Claudio Abbado di cui dicevamo all’inizio, ovvero la concezione cameristica dell’orchestra sinfonica.

D – Quindi, in un certo senso, tutta la musica è musica da camera?

R – Esattamente. La grande sfida è fare un Mahler con 120 elementi in orchestra con la stessa concentrazione e capacità di ascolto reciproco che avresti nel suonare un quartetto d’archi.

D-  Pare che Abbado invitasse i musicisti a correggere soprattutto da soli i propri errori.  Diceva loro: «Ascoltate, ascoltate»

R - Come dicevamo, l’ascolto reciproco tra i musicisti che compongono un’orchestra è fondamentale. Poi, alla fine, il direttore dà delle indicazioni, ovviamente, ma il salto di qualità lo possono fare solo i musicisti stessi, con il loro gusto, la loro preparazione e la loro intelligenza, nel momento in cui da soli comprendono come devono suonare. Chiaro è che se uno va per conto suo e non ascolta gli altri…rischia di far deragliare l’intero gruppo..

D – Quand’è che sei entrato a far parte degli Abbadiani itineranti?

R – 12 anni fa tramite la “mitica” Attilia Giuliani[1], dopo aver letto  un articolo sul Messaggero che parlava di questa associazione: c’era un cellulare, chiamai e mi rispose una signora molto allegra, simpatica, estremamente alla mano. Le chiesi come potevo fare per andare a sentire un concerto che Abbado avrebbe dato a Ferrara con i Berliner Philharmoniker, Pelléas e Mélisande di Schönberg e Rückert-Lieder di Mahler, e le chiesi se si poteva avere un biglietto tramite lei. Rispose, con molta semplicità, che non c’era alcun problema e che me lo avrebbe riservato. Attilia è una persona davvero straordinaria, capace appunto di dare credito a un ragazzo di 22 anni senza neanche conoscerlo di persona: io avrei potuto anche non presentarmi quel giorno a Ferrara e lei avrebbe perso il biglietto. Ovviamente invece andai, mi presentai, e da allora nacque una bella amicizia. Era l’occasione tra l’altro in cui si festeggiavano i 70 anni di Abbado e a Ferrara il Cai allestiva una mostra in suo onore. Le diedi volentieri una mano anche a montare qualche arredo...

D – Ho letto da qualche parte che Attilia Giuliani aveva una macchina con su scritto I love Abbado

R - Non lo so, ricordo però che aveva anche una collanina con su scritto Claudio, questo lo posso confermare… In ogni caso Attilia è leggenda e la ringrazio di cuore per le bellissime, meravigliose serate, che solo grazie a lei ho potuto vivere. Con Attilia sono riuscito a seguire Abbado un po’ ovunque nel mondo. Oggi con internet certamente è molto più facile ottenere biglietti per concerti anche all’estero, ma 10 anni fa non era certamente facile potere sentire Abbado fuori Roma o addirittura fuori Italia…ci voleva Attilia, appunto!

D – Quindi il Cai è una sorta di circolo di appassionati di musica e di Claudio Abbado, non è un fan club?

R – Assolutamente no. Attilia è una grande conoscitrice di musica, una persona che ha ascoltato montagne di musica e che ha assistito ad un’infinità di concerti. Una persona quindi con una esperienza di ascolto enorme, una cultura musicale vastissima e una grande sensibilità musicale.  E certamente non era l’unica nel Cai: c’erano e ci sono molti autentici conoscitori e amanti della grande musica, veri esperti del genere.

D – In che misura puoi dire di essere riuscito a seguire la carriera concertistica di Abbado?

R – Purtroppo solo in parte, certamente l’Abbado degli ultimi 10 anni, che personalmente considero il più grande in assoluto. Per carità, tutta la produzione di  Abbado è degna di nota: gli anni della Scala ad esempio hanno segnato una rivoluzione storica, a Berlino ha saputo trasformare un’orchestra, forse infiacchita nell’ultimo periodo della lunghissima guida Karajan, inserendo moltissimi giovani. E non si possono certo dimenticare i successi avuti a Chicago, a Londra con la London, a Vienna. Ma, come detto, a mio modesto parere, il culmine della carriera artistica di Claudio Abbado è rappresentato proprio dagli anni di Lucerna. I concerti eseguiti in quel contesto sono stati, ognuno a suo modo, un capolavoro: erano veramente degli eventi musicali totali.  Nell’Orchestra del Festival di Lucerna c’era tutto: si partiva dalla Mahler Chamber Orchestra, che rappresentava lo zoccolo duro del gruppo, innestata da solisti e prime parti di altre grandi orchestre, amici personali di Abbado. Credo si possa affermare che solo grazie all’importanza “storica” raggiunta da Abbado questi artisti potevano accettare di suonare in orchestra, stando addirittura in fila (ricordo, in quella dei violoncelli, persone come Enrico Bronzi[2]) . Cose che potevano succedere solo perché c’era Abbado, non c’è dubbio alcuno al riguardo.

D- L’Orchestra Mozart, che oggi rischia di morire, come la EUYO e le tante altre fatte nascere da Abbado, sono sempre state organismi di diritto privato. Forse un limite, questo?

R – Sono orchestre private, assolutamente si. La Gustav Mahler Jugendorchester, la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra Mozart: tutte realtà di diritto privato. La EUYO[3] è forse un caso a parte, perché parliamo comunque di un’orchestra giovanile che si rinnova ogni due anni e che pertanto, per sua natura, non può essere stabile. Una critica che è stata fatta nel mondo musicale ad Abbado è di non avere forse sufficientemente usato la sua influenza, che era grande, anche politica, per favorire la creazione di orchestre stabili, come le ICO (Istituzioni concertistiche Orchestrali, ndr).

D – Bologna vedeva forse il progetto dell’Orchestra Mozart come elitario?

R – Forse personalistico, per certi aspetti. L’Orchestra Mozart era gestita con criteri non condivisi da tutti nel panorama nazionale. Si trattava di una realtà pienamente inserita nel tessuto culturale della città, pensata in funzione di integrazione con gli altri organismi musicali della città? Non saprei dirlo. Era certamente una “Ferrari”, un’eccellenza artistica, con artisti come Jacques Zoon al flauto, Giuliano Carmignola come primo violino,  Alessio Allegrini  come primo corno, Raphael Christ come violino di spalla. Una piccola Lucerna…che però non aveva dietro, forse, la forza, anche economica, che ha Lucerna.

D – Ma l’Orchestra Mozart non era un’orchestra giovanile?

R – L’Orchestra Mozart non era un’orchestra giovanile in senso stretto, era un’orchestra composta da giovani e meno giovani. Era un prodotto, come detto prima, di eccellenza e quindi prevedeva musicisti eccellenti, a prescindere dall'età. Una grande verità nella musica è che spesso un artista già a 20 anni si capisce di che pasta è fatto.  Difficile che un violinista a 20 anni suoni male e a 30 anni diventi un mito. La verità è che un musicista a 20 anni è sostanzialmente già formato, e quindi non sorprende che nella Mozart potessero essere accolti anche musicisti molto giovani.

D – La carica di senatore a vita, come la si può inquadrare nel percorso umano e sociale di Abbado?

R – Erano 15 anni che si parlava di Abbado senatore a vita, anche con gli amici del CAI ne avevamo discusso tante volte: aspettavamo con ansia questa nomina! Peccato sia arrivata troppo tardi: era talmente malato che credo non sia riuscito ad andare materialmente nemmeno una volta in Senato.

D –  Lui aveva questo grande sogno dell’Auditorium a Bologna…

R – Non so se l’Auditorium pensato con Renzo Piano per l’Orchestra Mozart a Bologna sarà mai realizzato. Quello era un progetto, a quanto ne so, non condiviso pienamente dalle istituzioni cittadine.

D –Cambiando argomento, tu hai mai visto l’Auditorium dell’Aquila?

R - L’Auditorium dell’Aquila personalmente non l’ho mai visto. So tuttavia che ci sono problemi ad organizzare lì concerti di grande richiamo perché è molto piccolo, ha solamente 300 posti a sedere. Già la Barattelli[4] all’Aquila annovera 500 abbonati. Per quanto ne so, oggi, in quella sede si fa fondamentalmente musica da camera, mentre i concerti di maggior volume in termini di pubblico devono necessariamente essere ospitati nell’Auditorium della Guardia di Finanza di Coppito, dove si svolse il G8 del 2009.

D – Nel 2005 Claudio Abbado conosce il “Sistema” venezuelano e confessa che la cosa lo ha proprio cambiato nell’animo, ha cambiato la sua idea di vedere la musica. Tu cosa pensi del Sistema Abreu importato in Italia negli ultimi anni?

R – Mi sembra una bella idea in linea teorica, ma vedo dei punti di criticità al riguardo. Non condivido ad esempio l’idea di investire solamente sui bambini e sui giovanissimi. Cioè, si arriva a 16 anni e poi i ragazzi che fanno? Perché aprire il “Sistema” solo a ragazzi dai 4 ai 16 anni? La scelta peraltro è estranea al “Sistema” iniziale, dove si andava avanti per livelli, dai 4 ai 16 anni, poi dai 16 ai 24 e così di seguito, fino ad arrivare alla “serie A”, rappresentata dall’orchestra Simón Bolívar, diretta da Dudamel, un’ orchestra certamente di caratura internazionale.  Non capisco perché in Italia non si è voluto percorrere questo percorso che ha, come meta finale, appunto, l’eccellenza.

D- Quindi di Gustavo Dudamel, Daniel Harding, che ne pensi?

R –Gustavo Dudamel è il campione, per così dire, del “Sistema”. Daniel Harding è stato uno degli allievi “storici” di Abbado ed oggi è un grandissimo direttore. Credo, personalmente, che Harding sia il migliore tra i musicisti usciti dalla scuola direttoriale di Claudio Abbado e che oggi sia uno dei migliori direttori al mondo. E’ stato per tantissimi anni direttore dalla Mahler Chamber Orchestra, un’esperienza che credo lo abbia aiutato a crescere moltissimo dal punto di vista artistico.

 



[1] Attilia Giuliani, Presidente del Club Abbadiani Itineranti (CAI).

[2] Violoncellista e direttore d’orchestra italiano.

[3] European Union Youth Orchestra.

[4] Ente Musicale Società Aquilana dei Concerti “B. Barattelli”.