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Ogni volta che si entra nella Philharmonie di Berlino, sembra di varcare una soglia spazio-temporale, uno stargate che conduce ad un universo parallelo. Meraviglie teutoniche, non c'è che dire: tutto del mondo-Berliner colpisce e lascia sgomento il povero spettatore proveniente dall'ultima provincia del regno della cultura che risponde al nome di Roma.

Innanzitutto il luogo: i Berliner Philharmoniker suonano nella Philharmonie, sita in quella che oggi è l'Herbert von Karajan Strasse 1. L'edificio, edificato tra il 1960 e il 1963, su progetto dell'architetto Hans Scharoun, dal momento della sua inaugurazione si è posto come modello di perfezione sonora per tutto il mondo della musica. Molte sale nei cinque continenti si sono ispirate ad essa, tra queste anche il nostro Parco della Musica (seppure detta "parentela" non sia apertamente dichiarata). Basta vederla da lontano per amarla subito: il colore giallo ocra, la sua forma geometrica eppure irregolare, collocata a margine dell'immenso parco di Berlino (il Tiergarten).

Poi, ovviamente, la musica. Sentire suonare i Berliner Philharmoniker è un'emozione ogni volta nuova. Sono considerati un mito, la migliore orchestra del mondo, e la fama è pienamente meritata. L'orchestra è un insieme di incredibili fuoriclasse, un gruppo di solisti, in cui l'ultimo violino dei secondi fa impressione per come suona, piena di giovani leve provenienti da tutto il mondo, basti pensare che la spalla è Daishin Kashimoto, eccezionale musicista nipponico nato a Londra, la prima viola è Amihai Grosz, un ragazzo israeliano e il primo violoncello è Bruno Delepelaire, un parigino di neanche trent'anni. Insomma, una multinazionale di giovani fenomeni, unita a note star della musica classica come il primo flauto Emmanuel Pahud o il primo clarinetto Wenzel Fuchs, una compagine in grado di produrre praticamente tutte le sfaccettature possibili del suono, dal pianissimo più sottile e sussurrato, al fortissimo più avvolgente e catastrofico. Il tutto, va da sè, realizzato con un suono bellissimo e sempre perfettamente intonato.

Ovvio che un'orchestra così viene diretta solo dai migliori direttori, addirittura è praticamente l'unico caso al mondo di un'orchestra il cui direttore principale non è scelto da sovrintendenti, sindaci, ministri, politiconi o politichetti di sorta, ma votato liberamente dai membri stessi dell'orchestra. Proprio questo voto, questa manifestazione unica di "democrazia musicale", nel 1989, alla morte di Herbert von Karajan, premiò Claudio Abbado, tra lo stupore del mondo musicale di allora. 

Da ultimo, ma non meno importante: il pubblico. Niente scatarramenti, nessuna isterica che scatta come una furia alla conclusione dell'accordo finale, nessun uomo di mezza età appisolato tra le poltrone. Un pubblico presente, attento, che ama ciò che ascolta e che va al concerto per ascoltare, non per farsi vedere, composto e allo stesso tempo commosso, capace di applaudire con convinzione e di uscire dalla sala solamente quando l'orchestra esce. Un pubblico con il quale è emozionante condividere un concerto.

Tutto questo fa di Berlino la terra dello spread zero e dei Berliner in particolare un universo a sé. Per noi, poveri inhabitants di universi più prosaici, non resta che bearci di queste saltuarie boccate di paradiso e ricordarci sempre che sì: un altro mondo è possibile.

 

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