Se anche la musica diventa social

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Sarà forse vero che questo è il periodo delle orchestre social. Ormai non ci si accontenta più di fare musica, di farla bene o di farla male, adesso serve la causa sociale, serve che il concerto diventi un'occasione di partecipazione. Da questo (in generale nobile) intento sono nate realtà importanti, come l'Orquesta Sinfónica Simón Bolívar del Venezuale, sotto l'egida di Claudio Abbado, o la West-Eastern Divan Orchestra, fondata da Daniel Barenboim. Proprio quest'ultima, con il grande Daniel, abbiamo potuto ascoltare a Lucerna, nelle serate del 18 e 19 agosto scorso: due programmi con ouverture e preludi di Verdi e Wagner, la Settima Sinfonia di Beethoven, il Kammerkonzert di Berg per violino, pianoforte e 13 fiati, Que la lumière soit di Saed Haddad e At the Fringe of Our Gaze di Chaya Czernowin (il primo, compositore di origine giordana, la seconda, autrice di nazionalità israeliana).

L'elemento social del concerto è stato quindi multiplo: innanzitutto l'orchestra, formata prevalentemente da giovani provenienti da paesi svantaggiati (anche se negli ultimi anni fortemente innestata di giovani artisti spagnoli), ma anche la scelta dei due autori viventi, l'uno di origini arabe, l'altra ebraiche. Tutto molto, molto, politically correct. Forse un po' meno correct l'inserimento di Michael Barenboim (figlio del grande Daniel) come solista in Berg, ma il peccato è certamente veniale, perché il violinista è all'altezza del compito.

Sarò a questo punto io certamente scorrect, però un po' per carattere, un po' per convinzione, onestamente del welfare in musica me ne frega assai poco. La musica è troppo importante per permetterci di "ingannarla", anche solo in parte, con scorciatoie di carattere sociale e/o politico. O meglio, trovo di fondamentale importanza che si porti la musica laddove non c'è cultura, ma solo violenza e barbarie (penso alla Bolivar) o che un'orchestra possa diventare un luogo di dialogo e che serva ad esempio a riportare l'eterna musica di Wagner nella terra di Israele (penso alla West-Eastern), però se si viene a Lucerna, al Festival di Lucerna, e ci si mette a paragone con i Berliner Philharmoniker o la Dresden Staatskapelle, e se magari ci sono addirittura dei critici che arrivano ad inserire queste orchestre nell'Olimpo della musica...allora secondo me bisogna diventare severi, e pretendere che la qualità artistica di queste orchestre sia davvero all'altezza dei loro termini di paragone.

Parlando della West-Eastern, così non è stato. Abbiamo ascoltato un bellissimo Verdi e un buon Beethoven, anche se molte scelte effettuate da Barenboim erano discutibili assai, come gli attacca subito sia tra il primo e il secondo tempo che tra il secondo e il terzo (e non invece tra terzo e quarto, come invece è uso fare). Ma in Wagner il crollo, ahimé, è stato imbarazzante. Il suono dell'orchestra era certamente non bello, si sono sentiti parecchi errori, soprattutto tra i fiati e ancor più specificatamente tra gli ottoni. La Morte di Isotta è passata così, senza emozioni, come se niente fosse. Non una lacrima per la povera Isotta! E dire che Barenboim è tra i più grandi interpreti di quest'opera (ricordo proprio con lui una meravigliosa serata Tristan alla Scala nel 2009), quindi il problema è che proprio l'orchestra più di tanto non può dare. Quando si prepara un cd, con i tagli, le riprese, le limature e le cuciture, tutto alla fine risulta perfetto, ma in concerto è un'altra cosa.

I pezzi contemporanei difficili da giudicare, molti effetti e poca musica. Ma questo non è certo colpa dell'orchestra, quanto di un certo modo di intendere la musica nel 2013. Ho seri dubbi che tra 100 anni qualcuno si ricorderà ancora dei pezzi ascoltati in questa occasione, ma chissà, forse mi sbaglio. In ogni caso, al pezzo su Gaza avrei consigliato una durata minore. Mi diceva anni fa il mio insegnante di composizione, Giampaolo Chiti, che un pezzo di musica oggi non deve mai durare più di 7 minuti. Forse lui era un po' severo, ma la mezz'ora buona sentita a Lucerna era pesantina assai. Un taglietto forse non sarebbe stato male.

Alla fine in entrambe le serate diluvio di applausi: che non si dica che la Svizzera non è un Paese social!