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Turandot, meraviglia della principessa di gelo

La stagione 2012-2013 del Teatro dell'Opera di Roma si è conclusa in questi giorni, con un bell'allestimento di Turandot del Teatro Petruzzelli di Bari, portato per la prima volta a Roma. Come direttore, un grande esperto di Puccini e di opera in generale, il grande Pinchas Steinberg. Come interpreti principali Marcello Giordani nel ruolo di Calaf e Carmela Remigio in quello di Liù.

Non era la prima volta che avevo il piacere di ascoltare dal vivo quest'opera: tra le tante, ne ricordo una alla Scala con Valery Gergiev sul podio e una a Pavia con Pietro Mianiti, già direttore musicale di Roma Tre Orchestra. Questa edizione romana aveva una particolarità: finiva con la morte di Liù, lasciando fuori il completamento di Alfano ormai diventato di repertorio. Così avvenne nella prima esecuzione assoluta dell'opera, con la direzione di Toscanini. Così è avvenuto oggi, in un Teatro dell'Opera a guida Riccardo Muti, molto attento alle letture filologiche, il più possibile rispettose del gusto e della volontà dell'Autore.

Ogni volta che si ascolta quest'opera, è una rinnovata emozione. Turandot si staglia davvero tra i grandi capolavori dell'arte di tutti i tempi. Un capolavoro assoluto, che si pone certamente tra i massimi risultati del teatro lirico di tutti i tempi; un monumento vero e proprio che si staglia a fianco di Don Giovanni, Barbiere di Siviglia, Tristano e Isotta, Otello e pochi altri.

Turandot è straordinaria in quanto si colloca come sintesi e supremo risultato di tutta la produzione artistica di Giacomo Puccini. In essa l'autore dimostra di avere raggiunto la perfetta maturazione musicale, sotto ogni punto di vista. Innanzitutto, essa conserva la cifra essenziale della poetica pucciniana, ovvero la straordinaria cantabilità ed assoluta bellezza delle melodie. Aggiunge tuttavia ad esse una summa del panorama musicale contemporaneo: in Turandot risuona la Sagra della Primavera di Strawinsky, l'orchestrazione fa propri gli insegnamenti di Debussy e Ravel. Puccini, che non viveva chiuso in una torre d'avorio, ma amava, tra gli altri, Schoenberg e Berg, in quest'opera inserisce ritmi sincopati, passaggi in 5/4, sovrapposizioni armoniche coraggiose quanto affascinanti che in taluni passaggi sfociano in vera e propria politonalità, influssi orientali sia nella costruzione delle scale che nella scelta di alcune percussioni, accostamenti strumentali originali quanto indimenticabili (uno per tutti: l'ottavino sovracuto unito alle note bassissime del clarinetto basso, alla fine del "corteo funebre" di Liù).

Sono numerosi i momenti in cui la musica riesce ad arrivare all'anima dello spettatore. Quando Calaf, all'inizio dell'opera, chiede a Liù perché ha accettato di accompagnare in ogni dove il suo vecchio padrone, accettando così una vita di miseria e umiliazioni, Liù risponde di avere fatto tutto questo solo perché una volta, nella reggia, il principe Calaf le aveva regalato un sorriso. La musica avrebbe potuto descrivere in molti modi una scena come questa: Puccini dà al tutto un taglio quasi dimesso, di straordinaria leggerezza, estremamente toccante. 

Indimenticabile è poi certamente l'entrata in scena di Turandot. La principessa di gelo, che aleggia su tutto il primo atto in totale silenzio, fa il suo ingresso vero e proprio a metà del secondo atto, con un numero tanto bello quanto difficile musicalmente e tecnicamente quasi impossibile per la cantante: In questa reggia. Qui Turandot racconta se stessa e la follia della promessa che ha fatto: si concederà in sposa solo all'uomo che riuscirà a risolvere i suoi tre enigmi. In realtà Turandot non vuole sposare nessuno: ricorda un'antenata vessata dal proprio marito e teme di fare la stessa fine. Considera il matrimonio una sorte di schiavitù a cui una donna viene costretta nei confronti del marito. Inutile sottolineare l'interesse, anche psicologico, che suscita da questo punto di vista il personaggio di Turandot.

Nell'Olimpo degli interpreti di quest'opera c'è certamente Luciano Pavarotti. Il suo Nessun dorma è ormai leggenda, legato a Italia '90, ai Tre Tenori, alle numerose esecuzioni che Big Luciano ne ha dato sia in palcoscenico che nelle sale da concerto. Quest'aria, celeberrima, che contiene una delle più belle melodie di tutti i tempi, ci dimostra quanto anche la massima raffinatezza e complessità di scrittura possono (e devono) poter coesistere con la bellezza e l'immediatezza della melodia.

Ancora oggi l'ascolto di In questa reggia cantato dalla divina Maria Callas o Nessun dorma con Pavarotti rimangono due esempi di vera perfezione artistica, esperienze estetiche totalizzanti, in cui tutti i sensi, la mente e il cuore dello spettatore rimangono coinvolti. Pagine che ci ricordano veramente il senso più profondo e autentico della nostra storia e forse, più in generale, di tutta l'umana esperienza.

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