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Un Re Artù 2.0, e l

L'opera barocca è un genere certamente difficile per lo spettatore del XXI secolo. Se molte persone sentono lontane dalla propria sensibilità l'opera lirica in generale, perché troppo artificiosa, troppo lontana dalla loro realtà, queste obiezioni valgono in maniera esponenziale se riferite alle opere scritte nel XVII secolo: la scrittura musicale è legata alla tradizione, imbrigliata in cadenze e progressioni armoniche a volte fin troppo prevedibili, le trame spesso legate a miti greci e latini, o comunque confinate in mondi lontani, fantastici, fiabeschi. L'opera era del tutto avulsa dalla realtà, non voleva confondersi con essa, perché puntava ad un piano più alto, dove lo spettatore veniva condotto con funzione quasi pedagogica.

Il risultato di tutto ciò è che oggi risulta davvero difficile avvicinarsi ad un titolo barocco senza rischiare di esserne schiacciati, a meno che non si sia molto amanti del genere. Per questo lo spettacolo della compagnia Motus andato in scena ieri e oggi al Teatro Argentina all'interno del Roma Europa Festival 2014 va particolarmente apprezzato.

L'opera è tagliata e sfrondata delle parti corali, trasformata in uno spettacolo teatrale vero e proprio. E lo spettacolo non rimane confinato nel mondo di Re Artù o in quello seicentesco dell'autore, Henry Purcell: ci porta nel mondo dei nostri giorni, con le sue luci e le sue ombre. 

La scenografia è minima, ma efficace, con alberi e foglie a rappresentare il bosco inglese. L'orchestra barocca è ben visibile sul palco, il bravissimo ensemble Sezione Aurea, specialista del repertorio, ed è parte della scenografia stessa. Al centro del palco c'è uno schermo, dove vengono proiettati per tutta la performance dei video, a volte girati altrove, in strade e boschi, altre volte presi live sul set dagli attori stessi.

Bravissimi i protagonisti, l'Artù di Glen Çaçi un po' attore, un po' saltimbanco, ancora più convincente la Emmeline di Silvia Calderoni, che seppur in un corpo vigorosamente atletico e per certi aspetti androgino, mantiene una forte dose di femminilità e seduttività.

Altrettanto bene dicasi dei cantanti (come nell'opera originale, le parti principali sono interpretate da attori mentre i cantanti svolgono ruoli di commento, a mo' di coro greco), di ottima presenza scenica e perfetta qualità vocale, tutti senza esclusioni: Laura Catrani (soprano bella e brava), Yuliya Poleshchuk (contralto), Carlo Vistoli (eccellente controtenore). Memorabile la celebre aria del Genio del Freddo, la Frost Scene, che già all'epoca molti apprezzamenti valse a Purcell e che stilisticamente ricorda l'inizio dell'Inverno di Vivaldi, per la resa del ghiaccio fatta mediante le note degli archi staccate, sul ponticello, quasi strappate, e l'iniziale tortuosità armonica.

I numeri musicali a volte sono invertiti, la trama dello spettacolo non segue quella dell'opera originale, ma la cosa non è importante: lo spirito di King Arthur sopravvive e anzi si rinnova con un bagno nei tempi odierni, nelle immagini desolate e abbandonate delle nostre periferie, in strade notturne illuminate dai fari di rare automobili.

E così l'opera barocca rivive, di nuova linfa. Del resto Linfa vitale è proprio il titolo del Festival di quest'anno: quanto mai adatto per questa edizione 2.0 del capolavoro di Purcell. 

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